“La morte si sconta vivendo” voleva significare il rimpianto e il senso di colpa dei vivi nei confronti dei morti, la colpa di chi è rimasto in vita nei confronti di quelli che non ce l’anno fatta. La frase Ungarettiana diventata aforisma aveva come contesto storico la prima guerra mondiale combattuta al monte San Michele del Carso. L’ossimoro che unisce la morte e la vita, oggi, potrebbe essere applicato alla vicenda ILVA di Taranto e ai suoi operai.
Anche lì si combatte e non sono i proiettili dei mortai ad uccidere, ma l’inquinamento prodotto dalle acciaierie; anche questa guerra ha un ideale da difendere, quello del lavoro. Poco importa se il lavoro, il prodotto di quel lavoro uccide se è necessario per sfamare la proprie famiglie . Non è giusto quello che sta succedendo e nessuno interviene. Si accetta passivamente l’aforisma Ungarettiano. Lo accetta passivamente la Procura della Repubblica, lo accetta passivamente l’Azienda Sanitaria, lo accetta passivamente la politica che dovrebbe garantire come prima cosa il diritto alla vita. Non basta la dimostrazione scientifica di un rapporto strettissimo fra causa ed effetto. Non basta! Si va avanti con la speranza ( quest’ultima sì, sarà l’ultima a morire ) che l’area e lo stabilimento verranno bonificati, ma che ci vorranno molti anni e ancora molti morti. Allora aggiustando il tiro, perché di guerra si tratta, diremo che ciò che si accetta passivamente non è più l’aforisma del poeta così come inteso, ma il suo contrario.