Durante un violento temporale che si è abbattuto sulla Capitale nella notte fra il sei e il sette settembre ultimo scorso è crollata la base della statua di Garibaldi al Gianicolo. A causare il crollo è stato un fulmine forse scagliato dalla mano di Giove a significare che la famosa unità della nostra Nazione ha una base molto fragile. Lontano da me voler fare un excursus anche sintetico sulla nostra Storia che vede in Garibaldi l’artefice militare della nostra “identità” di italiani. Mi limito solo ad osservare che mai fulmine fu così utile ed illuminante.
Da buon meridionale non ho mai amato Garibaldi e quando ho letto il libro “ Terroni “ di Pino Aprile non mi sono sentito solo e ancor meno solo quando ho letto “ Partita Rimandata “ di Alberto Savinio nel capitolo che dedica alla statua del nostro generale a Reggio Calabria.
La quasi totalità delle statue che rappresentano Garibaldi sono posizionate in modo da dirigere il volto verso l’agognata sua meta, Roma.
A Torino in prossimità dei Murazzi non guarda in direzione di Roma, ma in quella opposta. A Reggio Calabria come scrive Savinio “la statua di Garibaldi volge lo sguardo verso l’Aspromonte e le spalle al mare ed è collocazione assurda perché non si volgono le spalle al mare. Il mare è partenza, è avventura, è infinito e alla partenza, all’avventura, all’infinito non si volgono le spalle. E continuando “ ciascuna di queste vie o piazze Cavour, ciascuna di queste vie o piazze Vittorio Emanuele, ciascuna di queste vie o piazze Garibaldi ha ucciso una via-ricordo una piazza -ricordo . In questo e non solo in questo il Risorgimento ha instupidito l’Italia”.
Da buon meridionale non mi resta che fare l’elogio del fulmine.